mercoledì 3 febbraio 2016

INCREDIBILE HO TROVATO IL PRIMO DINOSAURO ITALIANO DI GIOVANNI TODESCO


Sono felicissima di ospitare sul blog il racconto di un mio amico, Giovanni Todesco, lo scopritore del primo dinosauro italiano, chiamato Ciro. 

Giovanni Todesco con Ciro
Nel 1980 per ragioni di lavoro mi trasferii con la famiglia in provincia di Avellino e nei fine settimana con mia moglie Giovanna e i miei figli Valeria e Alessio rispettivamente di 11 e 5 anni, si girovagava per i monti del Sannio per ammirare le bellezze di quei luoghi e nel cercare quello che la  natura metteva a nostra disposizione, erbe frutti selvatici e quando vedevamo qualche cava abbandonata ci si fermava e si giocava alla scoperta di qualche conchiglietta o frammenti di fossili per la gioia dei bambini.

Un giorno arrivammo nel paesetto di Pietraroja, era il tipico paesetto degli Appennini meridionali arroccato su di un monte, sembrava una cartolina di Natale, le stradine che lo attraversavano erano molto strette e forse questo era il motivo che sopra al paesetto c’erano delle ruspe e altri grossi macchinari che scavavano e spostavano materiale per la realizzazione della circonvallazione del paese. Dato che si avvicinava la sera, ci riproponemmo di ritornare la settimana dopo anche perché il luogo era fantastico, naturale e selvaggio (per noi) con diversi animali allo stato brado e poi con quelle ruspe al lavoro chissà, forse si poteva trovare qualcosa.

Ritornammo a Pietraroja. Sopra il paese c'era una cava che una volta serviva come materiale da costruzione per gli abitanti, ora era abbandonata e adibita a discarica.

Nella cava c’era una ruspa al lavoro e aveva asportato tutto il materiale prodotto da vecchi scavi e dal momento che serviva dell’altro materiale, stava frantumando gli strati laterali della cava per farne fondo stradale e guardando tutti quei pezzi di roccia, con grande sorpresa e poi con terrore mi accorsi che c’erano tracce di pesci fossili: stavano usando strati fossiliferi per fare il fondo stradale.

Dissi subito a mia moglie di cercare sulla strada assieme ai bambini prima che il tutto venisse schiacciato e pressato dal rullo compressore

Era una lotta impari, una lotta contro quella forza distruttrice.

Mentre il resto della mia famiglia era sulla strada a controllare tutti quei pezzi rotti, io ero nella cava e quando la ruspa portava il suo carico sulla strada, io controllavo le rocce. C’erano dei momenti che non riuscivo neanche a connettere a causa di tutta quella frenesia, ti sentivi impotente, era una lotta contro il tempo. Anche perché - e questo lo scoprimmo più tard - quegli strati raramente si aprono dove si trova il fossile, bisognava guardare tutti quei pezzi in sezione per riuscire a localizzare qualcosa.

Ad un certo punto mi trovai fra le mani una lastrina sopra la quale da un lato si vedeva in sezione un segno scuro di 2-3 mm di spessore. Il cuore incominciò a battere più forte, dovevo cercare subito gli altri pezzi che mancavano. Raccolsi in fretta senza controllarli tutti i pezzi li vicino che mi sembravano dello stesso strato e mi spostai perché stava arrivando la ruspa per fare un altro viaggio di distruzione.

Un attimo dopo, le pietre che avevo salvato, sarebbero diventate fondo stradale.

Tornammo a casa in silenzio con sentimenti contrastanti. Da un lato pensavamo a quanto andava distrutto, ma eravamo anche contenti perché eravamo riusciti a salvare qualcosa, anche se non sapevamo ancora cosa.

Non siamo più tornati a Pietraroja, anche perché la domenica dopo, era il 23 Novembre del 1980, ci fu il terribile terremoto dell’Irpinia e anche a causa di questo, l’anno dopo ritornammo a Verona portandoci appresso nelle scatole quelle lastrine che avevamo salvato.

Una volta tornati a casa, quelle scatole rimasero dimenticate in cantina. Avevamo grossi impegni di lavoro, i bambini da seguire e i genitori anziani che avevano bisogno di noi.

Passarono gli anni e pian piano incominciammo a pulire e a sistemare le lastrine che avevamo raccolto sulla strada davanti al rullo compressore: totale 9 lastrine, c’erano un pesciolino di circa 5 cm, altri 3 pesciolini più piccoli e sbiaditi e sulle altre solo frammenti di pesciolini. Appena avuta un po’ di calma e di tempo, assieme a mia moglie iniziammo a sistemare la lastrina che avevo sottratto alla ruspa nella cava. Dopo avere incollato i pezzi che combaciavano, mi accorsi che purtroppo qualche pezzo era andato distrutto, perché in due parti uscivano in sezione delle tracce di fossile e non avevo nessun pezzo che combaciava. Una volta incollati tutti i pezzi incominciai a pulire il pezzo, c’era circa 1 cm di strato sopra  da levare e un pezzettino alla volta arrivammo al fossile.

Il primo pezzo che liberai dalla matrice mi lasciò di stucco. Mi aspettavo di vedere i resti di un pesce ma da quello che si vedeva non sembrava un pesce, erano il moncone di una coda e delle zampe posteriori. Poi lavorando delicatamente si presentò l’intestino e si vedeva benissimo che era pieno dell’ultimo pasto fatto 110 milioni di anni fa. Il lavoro procedeva molto lentamente perché aspettavo sempre con ansia di avere qualche ora di calma prima di mettermi al lavoro sotto gli occhi attenti di mia moglie. Poi si presentarono gli arti anteriori e seguendo le ossa arrivai alle mani, era splendido vedere quei ossicini perfetti al loro posto come si fosse appena adagiato sulla roccia. Le unghie poi, non ne avevo mai visto di così belle e perfette, erano lunghe, ricurve e appuntite come quelle dei rapaci. La pulizia proseguì lungo il collo, anche lì le ossa erano perfettamente al loro posto e arrivai alla testa. Era grossa, mi sembrava sproporzionata rispetto al corpo, l’occhio era molto grande come negli uccellini quando sono piccoli, la bocca aperta aveva una impressionante fila di denti lunghi, affilati e ricurvi con due canini molto più lunghi, erano denti di un predatore. Sulla cresta della testa cera una apertura a forma di V, seppi più tardi che era la classica fontanella, le ossa del cranio che si devono ancora saldare, come nei nostri bambini.

Al vederlo tutto liberato dalla matrice era qualcosa di indescrivibile, così piccolo e con quell’aria così feroce. Non ci si stancava mai di guardarlo anche perché a quel punto volevamo sapere che cos’era.

Abbiamo consultato decine di libri e dispense e quando trovavamo qualcosa di simile, c’era sempre qualcosa che non quadrava.

Poteva essere un rettile ma a giudicare da quell’occhio grande dai denti aguzzi e dalle unghie lunghe e appuntite, poteva essere anche un uccello rettile tipo l’Archaeopteryx, anche perché se fosse stato un rettile avrebbe avuto le unghie più corte e tozze.

Passa il tempo e siamo nel 1993. Casualmente venni a conoscere il dott. Giorgio Terruzzi, conservatore del Museo di Storia Naturale di Milano e un lunedì sera al telefono gli chiedo se poteva passare da casa mia che volevo fargli vedere uno strano fossile.

“Che cos’è?”  mi chiese.

“Per me è un uccello rettile” gli risposi.

Lui rimase un attimo in silenzio e poi mi disse che il sabato pomeriggio poteva andare bene e ci siamo salutati.

Neanche mezz’ora dopo mi richiama al telefono chiedendomi se poteva venire la sera dopo, probabilmente gli era entrata una pulce nell’orecchio.

Quando arrivò la sera dopo, finiti i convenevoli gli misi davanti sul tavolo la lastrina con il fossile.

Lui sgranò gli occhi e rimase fermo a guardarlo, poi prese una lente dalla tasca e si mise a ispezionarlo, dopo un po’ vedo che sbianca in viso, le mani gli tremavano e incomincia a dire:

E' lui, è lui”.

Si siede sulla sedia e dopo aver preso un po’ di fiato disse: “Sono il primo studioso italiano a vedere il primo dinosauro italiano”.

Si può solo immaginare la tensione e l’emozione che c’era in quella stanza, non riuscivamo a credere d’aver trovato il primo dinosauro italiano e il primo dinosauro al mondo in cui si poteva osservare l’intestino.

Cosa fare? Bastò uno sguardo con mia moglie per decidere: dovevamo consegnarlo a chi di competenza, era troppo importante, tutti dovevano sapere di questa importantissima scoperta.

Informammo un giornale che desse la notizia e contemporaneamente io  consegnai CIRO, (così chiamato perché era un nome tipico meridionale, corto e facile da ricordare) al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Il distacco da Ciro è stato molto forte, oramai era entrato a far parte della nostra famiglia, a lui erano legati i ricordi belli dei nostri figli, ai giorni trascorsi in quella bella parte dell’Italia e al ricordo del terremoto dell’Irpinia. Ma ero consapevole di aver fatto la cosa più giusta e anche perché tutti avrebbero saputo che anche in Italia c’erano i dinosauri e che ero stato io a trovarlo salvandolo dalla distruzione.

La notizia del ritrovamento del primo dinosauro italiano occupò le prime pagine dei giornali per poi rimbalzare anche all’estero, era la notizia scientifica più importante del momento.

Seguirono 5 anni di silenzio durante i quali un gruppo di ricercatori facevano la spola da Milano a  Salerno per la pulizia e lo studio preliminare di Ciro.

Gli studiosi gli diedero il nome di SCIPIONYX SAMNITICUS. Scipionyx è composto da due nomi, Scipione, per ricordare il primo geologo che studiò il giacimento di Pietraroja e Onyx, che dal greco vuol dire, grande artiglio per sottolineare le unghie del dinosauro, Samniticus per sottolineare la provenienza, il territorio del Sannio. Sinceramente è un bel nome, ma mi sarebbe piaciuto molto di più se lo avessero chiamato: SCIPIONYX  SAMNITICUS  TODESCUS!                                         



A Marzo del 1998 ci  fu la presentazione ufficiale a Milano e l’autorevole rivista scientifica internazionale NATURE gli dedicò la copertina e un fascicolo interno dal titolo “Eccezionale conservazione dei tessuti molli in un dinosauro teropode carnivoro in Italia”.

L’impatto provocato nell’opinione pubblica dall’apparizione su Nature del dinosauro di Pietraroja è stato un fenomeno senza precedenti per la paleontologia italiana e internazionale che venne considerata come la scoperta del secolo. L’interesse per l’esemplare ha fruttato sulle prime pagine di almeno 2500 testate giornalistiche in tutto il mondo.



Il 3 Febbraio 1999, su denuncia della Sovrintendenza di Salerno, venivo sottoposto a perquisizione domiciliare con il sequestro della mia collezione e con la denuncia di furto archeologico.

Il 16-03-2000 arriva il dissequestro di tutta la mia collezione e per 7 scagliette con frammenti di pesciolini fossili che mia moglie assieme ai bambini avevano salvato dalla distruzione, dovetti affrontare un processo per furto archeologico a Benevento con tutto il disagio che questo poteva comportare.

Dopo 4 anni di viaggi tra Verona e Benevento, questo incubo finì con formula assolutoria perché il fatto non costituisce reato, anzi, tra le osservazioni il giudice ha scritto:

“in definitiva, l’odierno imputato è un benemerito della ricerca e salvaguardia dei beni culturali: egli và assolto in definitivo. Colpevolizzarne la passione di dilettante per aver conservato accuratamente anche reperti trascurabili è operazione che risente di cieco schematismo burocratico, oltre risultare inesistente sotto il profilo giuridico. Si consente allo scrivente di osservare che le energie totalmente profuse per perseguire il Todesco sarebbero state usate in maniera più proficua se rivolte a prevenire, limitare e reprimere abusi e scempi nel sito di Pietraroja.”



Giovanni Todesco con il Paleontologo Cristiano dal Sasso
Nel 2001 viene presentato a Milano il libro, “Dinosauri italiani,” di Cristiano dal Sasso.

È il primo studio fatto su Ciro. Fra l’altro scrive: "Fa molto impressione vedere le ossa in perfetta connessione anatomica, la struttura delle fasce muscolari. Particolare è anche la presenza degli astucci cornei che rivestono ancora la parte terminale degli artigli, solitamente queste strutture, costituite di cheratina e quindi più fragili, non si fossilizzano. Caso unico al mondo, in Scipionyx è conservato l’intestino. La fossilizzazione è perfetta, tanto che sono visibili anche le pieghe della tonaca muscolari. La macchia rossastra localizzata tra gli arti anteriori rappresenterebbe i resti del fegato alla base della coda sono conservati tendini, fasce muscolari, il tratto terminale dell’intestino e i resti della muscolature dell’ischio".



Nel 2006 Scipionyx viene portato in mostra al Museo di Milano e vi rimane quasi per 3 anni.

In questo periodo viene studiato in tutte le maniere possibili, dalla Tac ai raggi x, dal microscopio tradizionale a quello a scansione con ingrandimenti fino a 350.000 volte. 

Nel 2010 viene presentato il libro MEMORIE di Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco, in circa 300 pagine viene raccontato, anche con bellissime foto e ingrandimenti il corpo di questo piccolo grande dinosauro. 

Giovanni Todesco ha scritto anche un libro sulla storia del rinvenimento di Ciro dal titolo "DUE FIGLI ED UN DINOSAURO - La scoperta di Ciro raccontata da  Giovanni Todesco".

Per ulteriori informazioni a questo post e pure a questo link

4 commenti:

  1. mi piacerebbe acquistare il libro di Giovanni Todesco, ma facendo una ricerca in rete non ho avuto risultati... sapete darmi qualche informazione?
    Grazie!

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  2. Ciao purtroppo a distanza di tempo dalla pubblicazione, il libro é introvabile, anche nel web. Non saprei dove potresti comperarlo, mi dispiace...

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  3. Bungiorno e complimenti per il blog!
    Vorrei sapere se nell’ambito degli studi su Scipionyx è stata mai evidenziata traccia di tegumento.
    Le informazioni reperibili in rete sono molto superficiali purtroppo.

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  4. Ciao Matteo, in Ciro si sono conservati in modo eccezionale molti tessuti interni come dei legamenti, cartilagini, muscoli, esofago, tracce del fegato e l'intero intestino. Invece dei tessuti esterni si sono fossilizzati perfettamente gli artigli cornei.

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