Sono felicissima di ospitare sul blog il racconto di un mio amico, Giovanni Todesco, lo scopritore del primo dinosauro italiano, chiamato Ciro.
Giovanni Todesco con Ciro |
Nel 1980 per ragioni di lavoro mi trasferii con la famiglia
in provincia di Avellino e nei fine settimana con mia moglie Giovanna e i miei
figli Valeria e Alessio rispettivamente di 11 e 5 anni, si girovagava per i
monti del Sannio per ammirare le bellezze di quei luoghi e nel cercare quello
che la natura metteva a nostra
disposizione, erbe frutti selvatici e quando vedevamo qualche cava abbandonata
ci si fermava e si giocava alla scoperta di qualche conchiglietta o frammenti
di fossili per la gioia dei bambini.
Un giorno arrivammo nel paesetto
di Pietraroja, era il tipico paesetto degli Appennini meridionali arroccato su
di un monte, sembrava una cartolina di Natale, le stradine che lo
attraversavano erano molto strette e forse questo era il motivo che sopra al
paesetto c’erano delle ruspe e altri grossi macchinari che scavavano e
spostavano materiale per la realizzazione della circonvallazione del paese.
Dato che si avvicinava la sera, ci riproponemmo di ritornare la settimana dopo
anche perché il luogo era fantastico, naturale e selvaggio (per noi) con
diversi animali allo stato brado e poi con quelle ruspe al lavoro chissà, forse
si poteva trovare qualcosa.
Ritornammo a
Pietraroja. Sopra il paese c'era una cava che una volta serviva come materiale da
costruzione per gli abitanti, ora era abbandonata e adibita a discarica.
Nella cava c’era una ruspa al
lavoro e aveva asportato tutto il materiale prodotto da vecchi scavi e dal
momento che serviva dell’altro materiale, stava frantumando gli strati laterali
della cava per farne fondo stradale e guardando tutti quei pezzi di roccia, con
grande sorpresa e poi con terrore mi accorsi che c’erano tracce di pesci
fossili: stavano usando strati fossiliferi per fare il fondo stradale.
Dissi subito a mia moglie di
cercare sulla strada assieme ai bambini prima che il tutto venisse schiacciato
e pressato dal rullo compressore
Era una lotta impari, una lotta
contro quella forza distruttrice.
Mentre il resto della mia
famiglia era sulla strada a controllare tutti quei pezzi rotti, io ero nella
cava e quando la ruspa portava il suo carico sulla strada, io controllavo le rocce.
C’erano dei momenti che non riuscivo neanche a connettere a causa di tutta
quella frenesia, ti sentivi impotente, era una lotta contro il tempo. Anche
perché - e questo lo scoprimmo più tard - quegli strati raramente si aprono dove
si trova il fossile, bisognava guardare tutti quei pezzi in sezione per
riuscire a localizzare qualcosa.
Ad un certo punto mi trovai fra
le mani una lastrina sopra la quale da un lato si vedeva in sezione un segno scuro di 2-3
mm di spessore. Il cuore incominciò a battere più forte, dovevo cercare subito
gli altri pezzi che mancavano. Raccolsi in fretta senza controllarli tutti i
pezzi li vicino che mi sembravano dello stesso strato e mi spostai perché stava
arrivando la ruspa per fare un altro viaggio di distruzione.
Un attimo dopo, le pietre che avevo salvato, sarebbero diventate fondo stradale.
Tornammo a casa in silenzio con
sentimenti contrastanti. Da un lato pensavamo a quanto andava distrutto, ma
eravamo anche contenti perché eravamo riusciti a salvare qualcosa, anche se non
sapevamo ancora cosa.
Non siamo più tornati a
Pietraroja, anche perché la domenica dopo, era il 23 Novembre del 1980, ci fu
il terribile terremoto dell’Irpinia e anche a causa di questo, l’anno dopo
ritornammo a Verona portandoci appresso nelle scatole quelle lastrine
che avevamo salvato.
Una volta tornati a casa, quelle
scatole rimasero dimenticate in cantina. Avevamo grossi impegni di
lavoro, i bambini da seguire e i genitori anziani che avevano bisogno di noi.
Passarono gli anni e pian piano
incominciammo a pulire e a sistemare le lastrine che avevamo raccolto sulla strada davanti al rullo compressore: totale 9 lastrine, c’erano un pesciolino di circa 5 cm, altri 3 pesciolini più piccoli
e sbiaditi e sulle altre solo frammenti di pesciolini. Appena avuta un po’ di calma e di
tempo, assieme a mia moglie iniziammo a sistemare la lastrina che avevo
sottratto alla ruspa nella cava. Dopo avere incollato i pezzi che combaciavano,
mi accorsi che purtroppo qualche pezzo era andato distrutto, perché in due
parti uscivano in sezione delle tracce di fossile e non avevo nessun pezzo che
combaciava. Una volta incollati tutti i pezzi
incominciai a pulire il pezzo, c’era circa 1 cm di strato sopra da levare e un pezzettino alla volta
arrivammo al fossile.
Il primo pezzo che liberai dalla
matrice mi lasciò di stucco. Mi aspettavo di vedere i resti di un pesce ma da
quello che si vedeva non sembrava un pesce, erano il moncone
di una coda e delle zampe posteriori. Poi lavorando delicatamente si presentò
l’intestino e si vedeva benissimo che era pieno dell’ultimo pasto fatto 110
milioni di anni fa. Il lavoro procedeva molto lentamente perché aspettavo
sempre con ansia di avere qualche ora di calma prima di mettermi al lavoro
sotto gli occhi attenti di mia moglie. Poi si presentarono gli arti anteriori e
seguendo le ossa arrivai alle mani,
era splendido vedere quei ossicini perfetti al loro posto come si fosse appena
adagiato sulla roccia. Le unghie poi, non ne avevo mai
visto di così belle e perfette, erano lunghe, ricurve e appuntite come quelle
dei rapaci. La pulizia proseguì lungo il
collo, anche lì le ossa erano perfettamente al loro posto e arrivai alla testa.
Era grossa, mi sembrava sproporzionata rispetto al corpo, l’occhio era molto
grande come negli uccellini quando sono piccoli, la bocca aperta aveva una
impressionante fila di denti lunghi, affilati e ricurvi con due canini molto
più lunghi, erano denti di un predatore. Sulla cresta della testa cera una
apertura a forma di V, seppi più tardi che era la classica fontanella, le ossa del cranio che si devono ancora saldare, come
nei nostri bambini.
Al vederlo tutto liberato dalla matrice era qualcosa di
indescrivibile, così piccolo e con quell’aria così feroce. Non ci si stancava mai di
guardarlo anche perché a quel punto volevamo sapere che cos’era.
Abbiamo consultato decine di
libri e dispense e quando trovavamo qualcosa di simile, c’era sempre qualcosa
che non quadrava.
Poteva essere un rettile ma a
giudicare da quell’occhio grande dai denti aguzzi e dalle unghie lunghe e appuntite,
poteva essere anche un uccello rettile tipo l’Archaeopteryx, anche perché
se fosse stato un rettile avrebbe avuto le unghie più corte e tozze.
Passa il tempo e siamo nel 1993. Casualmente venni a
conoscere il dott. Giorgio Terruzzi, conservatore del Museo di Storia Naturale
di Milano e un lunedì sera al telefono gli chiedo se poteva passare da casa mia
che volevo fargli vedere uno strano fossile.
“Che cos’è?” mi chiese.
“Per me è un uccello rettile” gli risposi.
Lui rimase un attimo in silenzio
e poi mi disse che il sabato pomeriggio poteva andare bene e ci siamo salutati.
Neanche mezz’ora dopo mi richiama
al telefono chiedendomi se poteva venire la sera dopo, probabilmente gli era
entrata una pulce nell’orecchio.
Quando arrivò la sera dopo,
finiti i convenevoli gli misi davanti sul tavolo la lastrina con il fossile.
Lui sgranò gli occhi e rimase
fermo a guardarlo, poi prese una lente dalla tasca e si mise a ispezionarlo,
dopo un po’ vedo che sbianca in viso, le mani gli tremavano e incomincia a
dire:
“E' lui, è lui”.
Si siede sulla sedia e dopo aver
preso un po’ di fiato disse: “Sono il primo studioso italiano a vedere il
primo dinosauro italiano”.
Si può solo immaginare la
tensione e l’emozione che c’era in quella stanza, non riuscivamo a credere
d’aver trovato il primo dinosauro italiano e il primo dinosauro al mondo in cui si
poteva osservare l’intestino.
Cosa fare? Bastò uno sguardo con
mia moglie per decidere: dovevamo consegnarlo a chi di competenza, era troppo
importante, tutti dovevano sapere di questa importantissima scoperta.
Informammo un giornale che desse
la notizia e contemporaneamente io
consegnai CIRO, (così chiamato perché era un nome tipico meridionale,
corto e facile da ricordare) al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Il distacco da Ciro è stato molto
forte, oramai era entrato a far parte della nostra famiglia, a lui erano legati
i ricordi belli dei nostri figli, ai giorni trascorsi in quella bella parte
dell’Italia e al ricordo del terremoto dell’Irpinia. Ma ero consapevole di aver
fatto la cosa più giusta e anche perché tutti avrebbero saputo che anche in
Italia c’erano i dinosauri e che ero stato io a trovarlo salvandolo dalla
distruzione.
La notizia del ritrovamento del
primo dinosauro italiano occupò le prime pagine dei giornali per poi rimbalzare
anche all’estero, era la notizia scientifica più importante del momento.
Seguirono 5 anni di silenzio
durante i quali un gruppo di ricercatori facevano la spola da Milano a Salerno per la pulizia e lo studio
preliminare di Ciro.
Gli studiosi gli diedero il nome
di SCIPIONYX SAMNITICUS. Scipionyx è composto da due nomi, Scipione, per
ricordare il primo geologo che studiò il giacimento di Pietraroja e Onyx, che
dal greco vuol dire, grande artiglio per sottolineare le unghie del dinosauro,
Samniticus per sottolineare la provenienza, il territorio del Sannio.
Sinceramente è un bel nome, ma mi sarebbe piaciuto molto di più se lo avessero
chiamato: SCIPIONYX SAMNITICUS TODESCUS!
A Marzo del 1998 ci fu la presentazione ufficiale a Milano e
l’autorevole rivista scientifica internazionale NATURE gli dedicò la copertina
e un fascicolo interno dal titolo “Eccezionale conservazione dei tessuti molli
in un dinosauro teropode carnivoro in Italia”.
L’impatto provocato nell’opinione
pubblica dall’apparizione su Nature del dinosauro di Pietraroja è stato un
fenomeno senza precedenti per la paleontologia italiana e internazionale che
venne considerata come la scoperta del secolo. L’interesse per l’esemplare ha
fruttato sulle prime pagine di almeno 2500 testate giornalistiche in tutto il
mondo.
Il 3 Febbraio 1999, su denuncia
della Sovrintendenza di Salerno, venivo sottoposto a perquisizione domiciliare
con il sequestro della mia collezione e con la denuncia di furto archeologico.
Il 16-03-2000 arriva il
dissequestro di tutta la mia collezione e per 7 scagliette con frammenti di
pesciolini fossili che mia moglie assieme ai bambini avevano salvato dalla
distruzione, dovetti affrontare un processo per furto archeologico a Benevento
con tutto il disagio che questo poteva comportare.
Dopo 4 anni di viaggi tra Verona
e Benevento, questo incubo finì con formula assolutoria perché il fatto non
costituisce reato, anzi, tra le osservazioni il giudice ha scritto:
“in definitiva, l’odierno imputato è un benemerito della ricerca e
salvaguardia dei beni culturali: egli và assolto in definitivo. Colpevolizzarne
la passione di dilettante per aver conservato accuratamente anche reperti
trascurabili è operazione che risente di cieco schematismo burocratico, oltre
risultare inesistente sotto il profilo giuridico. Si consente allo scrivente di
osservare che le energie totalmente profuse per perseguire il Todesco sarebbero
state usate in maniera più proficua se rivolte a prevenire, limitare e
reprimere abusi e scempi nel sito di Pietraroja.”
Giovanni Todesco con il Paleontologo Cristiano dal Sasso |
Nel 2001 viene presentato a Milano
il libro, “Dinosauri italiani,” di Cristiano dal Sasso.
È il primo studio fatto su Ciro.
Fra l’altro scrive: "Fa molto impressione vedere le ossa in perfetta connessione
anatomica, la struttura delle fasce muscolari. Particolare è anche la presenza
degli astucci cornei che rivestono ancora la parte terminale degli artigli,
solitamente queste strutture, costituite di cheratina e quindi più fragili, non
si fossilizzano. Caso unico al mondo, in Scipionyx
è conservato l’intestino. La
fossilizzazione è perfetta, tanto che sono visibili anche le pieghe della
tonaca muscolari. La macchia rossastra localizzata tra gli arti anteriori
rappresenterebbe i resti del fegato alla base della coda sono conservati
tendini, fasce muscolari, il tratto terminale dell’intestino e i resti della
muscolature dell’ischio".
Nel 2006 Scipionyx viene portato
in mostra al Museo di Milano e vi rimane quasi per 3 anni.
In questo periodo viene studiato
in tutte le maniere possibili, dalla Tac ai raggi x, dal microscopio
tradizionale a quello a scansione con ingrandimenti fino a 350.000 volte.
Nel 2010 viene presentato il
libro MEMORIE di Cristiano Dal Sasso
e Simone Maganuco, in circa 300 pagine viene raccontato, anche con bellissime
foto e ingrandimenti il corpo di questo piccolo grande dinosauro.
Giovanni Todesco ha scritto anche un libro sulla storia del rinvenimento di Ciro dal titolo "DUE FIGLI ED UN DINOSAURO - La scoperta di Ciro raccontata da Giovanni Todesco".
Per ulteriori informazioni a questo post e pure a questo link
Giovanni Todesco ha scritto anche un libro sulla storia del rinvenimento di Ciro dal titolo "DUE FIGLI ED UN DINOSAURO - La scoperta di Ciro raccontata da Giovanni Todesco".
Per ulteriori informazioni a questo post e pure a questo link
mi piacerebbe acquistare il libro di Giovanni Todesco, ma facendo una ricerca in rete non ho avuto risultati... sapete darmi qualche informazione?
RispondiEliminaGrazie!
Ciao purtroppo a distanza di tempo dalla pubblicazione, il libro é introvabile, anche nel web. Non saprei dove potresti comperarlo, mi dispiace...
RispondiEliminaBungiorno e complimenti per il blog!
RispondiEliminaVorrei sapere se nell’ambito degli studi su Scipionyx è stata mai evidenziata traccia di tegumento.
Le informazioni reperibili in rete sono molto superficiali purtroppo.
Ciao Matteo, in Ciro si sono conservati in modo eccezionale molti tessuti interni come dei legamenti, cartilagini, muscoli, esofago, tracce del fegato e l'intero intestino. Invece dei tessuti esterni si sono fossilizzati perfettamente gli artigli cornei.
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