La quarta parte della nostra intervista a Fabio Forti
racconta di tutte le prove che
avvalorano la tesi dell’esistenza di un periodo che il nostro carsista
definisce DILUVIALE in contrapposizione al periodo glaciale.
Prima parte dell'intervista
Seconda parte dell'intervista
Terza parte dell'intervista
Prima parte dell'intervista
Seconda parte dell'intervista
Terza parte dell'intervista
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E’ da qualche anno che lei parla di diluviale e non di era
glaciale nel Pleistocene con parecchie pubblicazioni. Ne possiamo parlare.
Ghiacciaio dell'Aletsch in Svizzera |
Devo fare una premessa storica.
La domanda che noi tutti dobbiamo farci è: quando è nata l’idea dell’era
glaciale? In Svizzera, nel 1815. In quel periodo le coperture glaciali avevamo
la massima estensione sulla Catena delle Alpi. Estremizzando il concetto, uno
svizzero a quell’epoca aprendo la finestra di casa, vedeva solo ghiaccio. Nel
1830 tale situazione venne identificata con una teoria, forse è meglio chiamarla
ipotesi, della cosiddetta era fredda. E’ diventata ufficiale come quella delle
glaciazioni, ad un convegno internazionale e come tale, venne così stabilito
per tutti i continenti dell’emisfero boreale, che la morfologia delle montagne, delle valli e laghi compresi, era dovuta al
fattore determinante dell’azione chiamiamola erosiva, dovuta allo scorrimento
di enormi colate di ghiaccio. Fu stabilito anche che questi periodi freddi
fossero avvenuti a fasi alterne (periodi interglaciali) nel corso del Pleistocene.
Così nell’Olocene, in questo ultimo periodo (iniziato all’incirca 12.000 anni
fa), siamo invece passati nel post glaciale e definito come quello di una fase
climatica più “temperato–calda” rispetto al precedente, con il progressivo
arretramento di tutte le coltri glaciali.
Ma è da osservare che questo
problema delle glaciazioni è stato affrontato dalle scienze naturali, quando agli inizi del XIX secolo di Geologia
del nostro pianeta se ne sapeva ancora ben poco. Infatti il cosiddetto sistema “glaciale”,
era strettamente legato ad un fatto più intuitivo che altro, ossia derivava
dalla considerazione sulla morfologia delle morene e dei massi erratici, che
non potevano essere altro che i prodotti dell’enorme copertura glaciale.
Per farla breve, il sottoscritto
che da ben sessantotto anni si dedica allo studio del carsismo, di periodi
glaciali nelle grotte non ha mai trovato niente. Tuttavia, consapevolmente, per
molti anni non ho preso alcuna posizione.
Denti di ippopotamo del Carso triestino |
Eppure seguendo per diversi anni gli archeologi, cioè coloro
che scavano nei sedimenti alluvionali,
delle grotte, costoro nelle loro relazioni e pubblicazioni parlavano di
sedimenti alluvionali, diluviali, con depositi in cui appariva evidente il
“trasporto” di ossa di animali vari (leoni compresi), ecc. dove non risultava
in alcun modo alcunché di glaciale, anzi sembrava trattarsi invece di un clima
piuttosto caldo, umido, e soprattutto molto piovoso che doveva essersi
protratto con fasi alterne almeno per tutto il Pleistocene.
Ma un po’ alla volta continuando
nei miei studi sul carsismo ipogeo, ossia sulle grotte, dovetti seriamente considerare che i
contenuti morfologici all’interno delle cavità, puntavano decisamente a
significare, che non si trattava affatto di condizioni climatiche “glaciali” quindi fredde, ma di situazioni decisamente
“diluviali” e quindi assolutamente non fredde, anzi piuttosto “calde”.
Come mai? Ecco elencate le
motivazioni d’ordine geomorfologico viste, considerate, studiate, confrontate.
Nei sistemi di cavità a galleria
del Carso sono presenti sulle pareti relitti di mensole sub orizzontali di
concrezione calcitica che ricoprivano enormi livelli di depositi
sabbioso-argillosi, spessi anche decine di metri. Nella zona di Slivia in un
“relitto di cavità” sono stati trovati cementati in una breccia (si forma in un periodo caldo) resti
di ossa di rinoceronti, ippopotami, iene, cervi, orsi, elefanti ecc. Ma la
domanda che dovete farvi, ma cosa ci stavano a fare gli ippopotami sul Carso,
erano forse in visita turistica? Potrei continuare ma voglio solo aggiungere un
altro caso.
Concrezioni calcitiche nella grotta delle Conturines - tratto da www.ursusladinicus.it |
Questa volta la testimonianza di
un periodo diluviale viene portata da una grotta sulle Dolomiti, precisamente
sulle Conturines a 2800 metri di quota. In tale cavità si osservano
concrezionamenti calcitici, che è quasi assolutamente impossibile che si
formino in un “periodo glaciale”. Poi, sono state ritrovate numerose ossa di Ursus spelaeus; chissà forse erano in vacanze sciatorie - ma
come hanno fatto a salire sugli immensi ghiacciai che avrebbero dovuto
interamente coprire il sistema alpino? Qualcuno afferma che lo strato di
ghiaccio sulle Alpi poteva superare anche i 2000 metri; ma gli orsi, come ci sono arrivati, cosa
mangiavano lassù?
Potrei andare avanti per delle
ore a raccontarvi una vistosa sequenza di anomalie, che tutte danno una sola
indicazione, l’esistenza del DILUVIALE. Le grotte non ci raccontano di periodi
freddi e di ghiacci, al contrario ci parlano di acqua e tanta, ma soprattutto
di un periodo caldo almeno fino alla fine del Pleistocene. Poi è arrivato un
clima decisamente assai meno piovoso e sicuramente più freddo, ossia quello
attuale.
Poi, per alcuni anni ho preso in
considerazione diversi depositi
morenici, i resti dei ghiacciai del Monte Canin e della Marmolada. Io, povero sprovveduto carsista, privo
assolutamente di qualsiasi tipo di condizionamento, ho osservato l’immensa Morena del Tagliamento; essa non è altro
che un alto terrazzo fluviale, ricchissimo oltre che di sassi, massi, ciottoli, anche di enormi depositi
sabbiosi e argillosi, in altre parole terrosi, di composizione tale e quale
della stessa successiva pianura del Tagliamento. D’altra parte la Val Padana, dove sull’attuale asse scorre il
Fiume Po, (post diluviale), nel Pleistocene doveva essere esteso quanto
tutta l’attuale Val Padana. Al suo confronto, oggi il Po non è altro che
un fiumiciattolo!
Ma ritorniamo con la nostra
particolare attenzione in Grotta Gigante, dove abbiamo avuto la possibilità di studiare l’andamento della
crescita e della variazione cromatica delle stalagmiti. Tutte le grandi stalagmiti e non solo nella
Grotta Gigante, mostrano un’evidente rallentamento nella loro crescita, in
particolare dai 25.000 anni all’incirca fino al presente. Tutto ciò ci è stato
testimoniato da misure di
radiodatazione di una sezione longitudinale di stalagmite. Tale diminuzione di crescita è evidentemente
dovuta ad un progressivo rallentamento dello stillicidio che come noto viene
condizionato dalla piovosità esterna.
Ma c’è di più, la colorazione giallo-rossastra di tonalità costante per centinaia di migliaia di anni, all’incirca negli ultimi 10-12.000 anni, è virata nettamente sul bianco latteo. Come mai? La vecchia colorazione giallo rossastra era dovuta agli ossidi di ferro che passano in soluzione nelle acque, ad una temperatura superiore a quella medio-climatica attuale. Oggi invece l’ossido di ferro evidentemente non passa più in soluzione. Ma allora dov’era questa era glaciale? Ma c’è di peggio, nelle Grotte di Postumia, con un clima di alcuni gradi inferiore alla Grotta Gigante, proprio dagli ultimi 10-12.000 anni, lo stillicidio tende a creare sulla loro sommità dei fori di dissoluzione, anziché a far crescere la stalagmite (vedi il video). Questo è indicativo di acque più fredde. Deboli ma evidenti simili segnali, abbiamo riscontrato anche nella Grotta Gigante. Spero sia noto che l’anidride carbonica è molto più aggressiva (perché maggiormente solubile) nelle acque fredde. Ma allora nel periodo glaciale pleistocenico, come si sono accresciute le stalagmiti nelle grotte?
Stillicidio - foto di Paolo Forti |
Ma c’è di più, la colorazione giallo-rossastra di tonalità costante per centinaia di migliaia di anni, all’incirca negli ultimi 10-12.000 anni, è virata nettamente sul bianco latteo. Come mai? La vecchia colorazione giallo rossastra era dovuta agli ossidi di ferro che passano in soluzione nelle acque, ad una temperatura superiore a quella medio-climatica attuale. Oggi invece l’ossido di ferro evidentemente non passa più in soluzione. Ma allora dov’era questa era glaciale? Ma c’è di peggio, nelle Grotte di Postumia, con un clima di alcuni gradi inferiore alla Grotta Gigante, proprio dagli ultimi 10-12.000 anni, lo stillicidio tende a creare sulla loro sommità dei fori di dissoluzione, anziché a far crescere la stalagmite (vedi il video). Questo è indicativo di acque più fredde. Deboli ma evidenti simili segnali, abbiamo riscontrato anche nella Grotta Gigante. Spero sia noto che l’anidride carbonica è molto più aggressiva (perché maggiormente solubile) nelle acque fredde. Ma allora nel periodo glaciale pleistocenico, come si sono accresciute le stalagmiti nelle grotte?
Ma le nostre ricerche carsiche le
abbiamo estese anche nelle forre presenti
nelle rocce calcaree, in particolare nella Forra di Pradis e sull’alveo del torrente Cosa (Prealpi Carniche).
Nessuna forra avrebbe potuto approfondirsi per 50-60 metri con l’azione di un
ghiacciaio, visto che in certi luoghi è larga un solo metro. In questo caso si
è avuta la certezza che la consumazione delle rocce calcaree è stata da 10 a
100 volte maggiore che non sulle rocce limitrofe. Infatti qui nella forra, vi è anche un contributo meccanico
dovuto ai sassi, massi, trascinati violentemente dalle acque nei momenti di
piena. Qualche tempo fa abbiamo rilevato una particolare e molto rapida
consumazione della roccia in alveo, di 1 millimetro nel passaggio di una piena
della durata di solo poche ore.
Vorrei parlarvi adesso di un
altro problema, legato alle glaciazioni, ossia quello dei massi erratici. E’ stato sempre detto che
sono dei blocchi di roccia trasportati e poi depositati dai ghiacciai. Forse
no!
Vi faccio un piccolo e semplice
esempio. Sempre in zona Pradis si trova un assai modesto Rio Morat (è un
affluente che si immette nella Forra). Avevamo sistemato anche li una stazione di misurazione. In un
giorno qualunque, c’è stata una pioggia eccezionale e sulla stazione di
misurazione si è trovato un blocco di roccia delle dimensioni di 70x60x50 cm,
semplicemente appoggiato. Nella zona circostante si è avuto il fenomeno della
così detta”bomba d’acqua”. Dalle tracce lasciateci, il livello di quel
torrentello si è alzato di circa 3 metri e quel masso ce lo siamo trovato sulla
nostra stazione sollevato e trasportato, come un fuscello dalla immensa forza
delle acque in piena, da una distanza valutabile ad oltre un centinaio di
metri. E’ questo un esempio piuttosto
evidente che se sul nostro pianeta anziché di ere glaciali, si fosse parlato di
ere diluviali, molti dei suoi chiari ed evidenti fenomeni e testimonianze
avrebbero potuto essere agevolmente spiegati. Abbiamo allora dato inizio anche ad uno studio dei terrazzi rocciosi
posti all’interno della forra. Dopo una
piena il terrazzo si è caricato di sassi e massi anche di grandi dimensioni.
Successivamente lo abbiamo completamente ripulito, per constatare nuovamente
l’entità del fenomeno alla prossima piena.
Queste ricerche ci hanno portato
un po’ alla volta ad avere una visione diversa della situazione dalle teorie
consolidate sulle fenomenologie “glaciali”.
Parliamo adesso di un altro fatto
molto interessante. Dalla precedente letteratura carsica si legge che quando
nelle grotte ad andamento a galleria venivano trovate delle sabbie quarzose, queste evidentemente
estranee all’ambiente locale, venivano definite di origine eolica , cioè portate
dal vento. Ma da dove! Ma lo
sapete che dalle immagini dei satelliti e dall’esperienza, solo le polveri possono volare lontano? (chi ha
un’automobile speriamo si sia accorto della loro presenza sulla vernice della
carrozzeria). Forse quelle sabbie quarzose sono di origine fluviale-diluviale?
Isola di Sansego - Croazia |
Continuando con gli esempi a
favore del diluviale, esiste un problema che non ha avuto ancora una ragionevole soluzione, ossia l’origine
delle sabbie di Sansego. Si tratta di un’isola poco al largo di
Lussino (tra la costa istriana e quella dalmata), di 3 km quadrati la sua
superficie e di 7 km di sviluppo
costiero. Sopra il basamento calcareo si trova un consistente ed alquanto
eccezionale deposito di sabbia quarzosa, con un’altezza sul livello del mare di
98 m. Secondo il geologo dell’Istria Carlo D’Ambrosi, lo spessore di queste
sabbie quarzose è attorno ai 60 m al di sopra del basamento roccioso. Secondo
tutti gli autori che si sono più volte interessati a questo imponente deposito
sabbioso (in mezzo al mare), l’origine attribuita è stata a carattere di Loess, in altri termini sabbie
eoliche.
A giustificazione di un tale
attribuzione, visto che comunque appariva del tutto anomala questa strana
presenza su di uno sperduto isolotto di tanta sabbia, allora l’evento sabbioso
non poteva essere altro che…caduto dal cielo, cioè eolico. Riassumendo e
generalizzando quanto è stato espresso dal D’Ambrosi, apprendiamo che tali sabbie vennero, inoltre, definite di
origine padana e quindi di provenienza alpina,
Ma come hanno fatto a volare fino
sull’Isola Sansego queste sabbie padane? Non ho mai potuto capire come non si siano
accorti che tali sabbie sono ricche di conchiglie. Trasportate anche queste con
il vento? Per dirla tutta, si sono accorti della loro presenza ma hanno detto
che la loro presenza era dovuta all’uomo preistorico che per motivi
commestibili le ha trasportate lassù e lasciate. In conclusione, la loro
origine è sicuramente di
provenienza molto diversa, che non ha
nulla a che fare con glaciazioni o venti fortissimi, bensì sicuramente dovuta
ad un trasposto idrico…ma vi risparmio il tormento di una lunga ed assai
articolata spiegazione!
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