Sono contenta di ospitare di nuovo sul blog l'esperto di fama mondiale di Carsismo, Fabio Forti. In questo post ci espone le sue ricerche su un fenomeno carsico molto evidente nel territori calcarei, le DOLINE.
Il post non è corredato di un opportuno apparato iconografico, a parte la splendida foto della dolina di Orlek di Roberto Valenti. Tra breve verrà aggiunto, non appena l'autore e la sottoscritta con l'arrivo dell'autunno potranno fotografare senza vegetazione degli esempi significativi di doline.
La dolina di Orlek - foto di Roberto Valenti |
Si tratta
della più comune ed evidente morfologia carsica, ritenuta erroneamente epigea,
il cui studio, rispetto alle grotte o cavità, è stato quasi sempre relegato ad
una semplice configurazione geografica. E' stata sempre posta bene in evidenza in qualsiasi
carta topografica (1.25.000) esistente di territori carsici. Eppure le doline rivestono un’importanza
fondamentale nella genesi ed evoluzione dei fenomeni carsici ipogei, ma soprattutto
possono raccontarci qualcosa riguardante le variazioni climatiche che hanno
condizionato il Pleistocene in rapporto con l’attuale Olocene.
La genesi delle doline è stata incerta per molto tempo. Da alcune proposte di studi prodotti nel XIX secolo, un illustre geologo, ispirandosi evidentemente alla teoria Geyseriana di D’Omalius D’Aloy, riteneva che doline e pozzi carsici, non fossero altro "... che resti di antichi condotti eruttivi che nel loro periodo di attività avrebbero eruttato assieme ad acqua termale, anche la ben nota Terra Rossa..." e addirittura quando la regione carsica era ancora coperta dal mare. Altri personaggi, ancora più indecisi, ritenevano invece che le doline rappresentassero il risultato della caduta di "meteoriti", … piovute dal cielo!
La genesi delle doline è stata incerta per molto tempo. Da alcune proposte di studi prodotti nel XIX secolo, un illustre geologo, ispirandosi evidentemente alla teoria Geyseriana di D’Omalius D’Aloy, riteneva che doline e pozzi carsici, non fossero altro "... che resti di antichi condotti eruttivi che nel loro periodo di attività avrebbero eruttato assieme ad acqua termale, anche la ben nota Terra Rossa..." e addirittura quando la regione carsica era ancora coperta dal mare. Altri personaggi, ancora più indecisi, ritenevano invece che le doline rappresentassero il risultato della caduta di "meteoriti", … piovute dal cielo!
Dalle ricerche effettuate sulla morfologia delle doline del Carso, si è rilevato che il loro aspetto non è costante, a causa delle variazioni della natura litologica, petrografica, stratigrafica e strutturale dei complessi rocciosi che costituiscono le piattaforme carbonatiche. E’ stato cioè osservato che nelle doline con forme ben marcate, imbutiformi, a fianchi anche scoscesi, sono presenti nei calcari “micritici” (originati da fanghi calcitici microcristallini), più o meno fossiliferi, meglio se bene e potentemente stratificati, con maglia dei piani di fratturazione avente frequenza metrica. Ne consegue che l’aspetto morfologico viene determinato dall’effetto della “concentrazione del carsismo”. Per contro, doline larghe, molto piatte, a contorni assai arrotondati, con il fondo completamente intasato da terra rossa, sono caratteristiche di calcari “intramicritici” nerastri e neri, molto impuri per contenuti argillosi e bituminosi, a stratificazione molto fitta ed aventi anche una comminuta rete di fessurazioni, in questo caso, il loro aspetto viene condizionato dall’effetto della “dispersione del carsismo”.
Dal fondo piatto e terroso delle doline e al di sotto di esso si sviluppano, come accennato, delle cavità ad andamento verticale (strutture a pozzo) che drenano le
acque meteoriche, le quali hanno sempre portato in soluzione tutti quegli enormi volumi di roccia, che nel momento attuale,
costituiscono lo spazio vuoto della
dolina stessa.
Nei cosidetti paesaggi carsici e soprattutto nello studio della idrogeologia, le doline
rappresentano dunque, la vera porta d’ingresso delle acque di provenienza
meteorica (carsismo diretto). Attraverso tali strutture a pozzo, che si possono presentare anche plurime,
l'acqua scorre dalla zona vadosa, fino all’incontro con quella freatica, determinata da un
livello di base, dovuto a sottostanti rocce incarsificabili, od a
carsificabilità ridotta (dolomie),
oppure ancora a molte altre cause, tra le quali non vanno mai trascurate le
grandi variabili dei livelli di tutti i mari del nostro pianeta.
I primi
incerti studiosi che cercavano di capire cosa in realtà fossero le doline,
rimanevano alquanto perplessi dinanzi a livelli piatti di fondo
delle doline, che evidentemente mascheravano quegli enormi depositi di Terra
Rossa e che intasavano completamente il logico proseguio della dolina nelle
sottostanti strutture a pozzo.
Nella lunga fase delle ricerche carsiche ho
eseguito dei rilievi su sezioni ortogonali, di circa 300 doline del Carso
triestino, delle quali conservo ancora una ventina di rilievi. Notavo molto spesso su questi fondi effimeri che c'erano delle strane strutture simili a veri e propri “imbuti
di assorbimento”. Evidentemente i
depositi di Terre Rosse, nel corso del nostro Olocene, (ultimi 12.000 anni),
tendevano evidentemente ad essere smaltiti tramite questi cono a rovescio.
Ciò significava che nel corso del
Pleistocene, ovviamente in una situazione climatica completamente diversa
dall’attuale ed altamente piovosa, le strutture verticali drenanti delle doline
non riuscivano a smaltire il surplus delle coperture terrose e queste evidentemente finivano prima nelle doline e poi nelle
grotte, in particolare in quelle a galleria. In seguito nell’Olocene con la drastica diminuzione della
piovosità, lentamente tali materiali terroso-argillosi, vennero gradualmente smaltiti dal naturale sistema di drenaggio della dolina stessa. Gli imbuti di assorbimento rappresentano
dunque, degli evidenti segnali di tali assorbimenti. Attenzione però, i materiali argillosi sono
dotati di una certo grado di coesione,
ne consegue che data la struttura rocciosa della dolina ad imbuto, è
possibile che il drenaggio nella sua parte sottostante “a pozzo” sia più rapido
rispetto a quella parte più ampia soprastante. E’ così possibile che sulla
verticale del pozzo, si crei un “vuoto” nel soprastante deposito di
riempimento, in risalita progressiva
che prima o poi sbocca improvvisamente in superficie sul piatto terroso
di fondo percorribile della dolina.
Ho avuto
l’occasione di essere presente al sopralluogo in una piccola dolina posta sul
fianco meridionale del M.te Concusso, dove proprio in corrispondenza della sua
parte centrale del deposito di riempimento, si era aperto un foro nella Terra
Rossa. Al di sotto i nostri speleologi erano discesi per un quarantina di
metri, fino ad incontrare la parte rocciosa di fondo della dolina, a cui
seguiva una serie di pozzi per un novantina di metri di profondità. Un altro simile caso di cui conservo una
documentazione fotografica è avvenuto nei dintorni della chiesa di S. Ulrico di
Samatorza.
Potrei
continuare citando numerosi altri eventi, chiamiamoli “storici” di
abbassamenti e di aperture dei materiali terrosi presenti in quantità notevoli nelle doline, tutti indubbiamente di chiarissima natura
alluvionale, dovuti a situazioni “diluviali”. Anche in tutti questi casi non
è mai stata trovata la minima traccia che conducesse a situazioni esattamente
contrarie, ossia di periodi glaciali,
ma solo effetti determinati da situazioni di natura assolutamente piovosa.
Scritto nell'agosto 2013 da Fabio Forti
Bibliografia specifica
- Forti F. (1954) - Le doline di
crollo da cavità preesistenti nel Carso Triestino. Atti 6° Congr. Naz.
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- Cucchi F., Forti F. &
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- Forti F. (1980) - Proposta di
classificazione pratica delle morfologie carsiche epigee. Atti Mem. Comm. Grotte “E.Boegan”,
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- Forti F. (1980) - Dissoluzione
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- Forti F. (1980) - Influenza della
stratificazione nella geomorfologia carsica (studi sul Carso Triestino). Atti
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- Forti F. (1982) - Rapporti tra
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6-12, Udine.
- Forti F. (1995) - Considerazioni sulla situazione paleo
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46: 113-124, Trieste.
- Calligaris R., Forti F., Forti Fu. & Liberio N. (2003)
– La situazione geologica della “Carsia Giulia” (con particolare riguardo al
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Information, anno 19, 23, (2002): 21-40, Trieste.
- Forti F. & Forti Fu. (2004) – Il “diluviale
pleistocenico” sul Carso.
Considerazioni genetiche ed evolutive sui depositi di riempimento delle
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- Forti F. & Forti Fu. (2009) – Considerazioni sulle
evidenze diluviali pleistoceniche accertate sul Carso triestino poste a
confronto con situazioni idrogeologiche e geomorfologiche presenti in diverse
aree prealpine ed alpine. Hydrores
Information, anno 23, 28, (2008): 20-35, Trieste.
Altri post sull'argomento:
- Intervista al carsista Fabio Forti - 1
- Intervista al carsista Fabio Forti - 2
- Intervista al carsista Fabio Forti - 3
- Intervista al carsista Fabio Forti - 4 - Il Diluviale
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